mercoledì 26 ottobre 2011

RACCOLTA DIFFERENZIATA DELLE ACQUE PIOVANE; LE STRADE VERDI DI PORTLAND

Raccolta e recupero dell’acqua piovana sono fonti di ricchezza; una città dunque può dotarsi di quartieri impermeabilizzati, distribuendo sul tessuto urbano diverse superfici di raccolta che fanno confluire la pioggia in serbatoi sotterranei e superficiali. In seguito l’acqua convogliata nelle cisterne viene depurata tramite sedimentazione o fitodepurazione ed utilizzata per alimentare le fontane pubbliche o irrigare i giardini.
  
Nella gestione delle acque piovane Portland avvia il progetto verde: la città dell’Oregon è attraversata da strade verdi, in grado di recuperare 140 milioni di litri di acqua ogni anno. L’acqua non defluisce nella rete fognaria bensì viene raccolta, depurata e reimmessa nelle falde acquifere completamente purificata. Il tutto tramite marciapiedi e strade costruite con una leggera pendenza, tappezzate di piante ad elevata ritenzione idrica, di ghiaia e di sassi che trattengono il flusso.


Nella cittadina degli States, al contrario di quanto avvenuto a Berlino, si è puntato su strutture permeabili come giardini filtranti e tetti verdi. La città è stata tappezzata di vegetazione in grado di assorbire l’acqua, filtrarla e trattenerla. I cittadini vengono incentivati e supportati tecnicamente dall’amministrazione territoriale ad installare tetti verdi e giardini filtranti.



I vantaggi delle strade verdi e di quella che a conti fatti è una vera e propria raccolta differenziata delle acque, sono molteplici. Innanzitutto la pioggia non scorre direttamente sulle strade, si riducono di conseguenza i danni di quei fiumi d’acqua che nelle nostre città provocano il dilavamento del manto stradale. In questo modo si evita anche che l’acqua piovana si contamini con polveri sottili, catrame ed altri inquinanti presenti sull’asfalto, oltre ovviamente a diminuire l’impatto delle piogge sui circuiti stradali urbani.

Altro vantaggio di una città interamente ricoperta di vegetazione è ovviamente il miglioramento della qualità dell’aria. Senza contare che le falde acquifere ricevono acqua fitodepurata e dunque a migliorare è anche la qualità dell’acqua. Diminuendo l’erosione del manto stradale, infine, pedoni, automobilisti e ciclisti corrono meno rischi di incidenti quando piove a dirotto. Fonte: EcoBlog

giovedì 13 ottobre 2011

L'EUROPA VENDE TROPPI RIFIUTI ALLA CINA E PERDE MATERIE PRIME

Malgrado le iniziative da Bruxelles per promuovere i rifiuti come risorsa preziosa questi sono spesso spediti via mare in Asia e verso le economie in forte espansione. Invece di essere riutilizzati in Europa.


Portiamo in Cina, India e Indonesia sopratutto plastica, vetro e carta e non solo, come spesso viene denunciato, materiali pericolosi e rifiuti elettronici. Dal 1995 al 2005 le esportazioni di carta da macero sono passate dagli 1,2 milioni di tonnellate ai 7,8 milioni di tonnellate e nella sola Cina si è passati da 0 tonnellate a 4,5 milioni di tonnellate; le esportazioni di rifiuti di plastica sono aumentate da 0,2 a 1,6 milioni di tonnellate, di cui la metà finiscono in Cina e a Hong Kong. Per quanto riguarda i metalli portiamo in Cina acciaio, rame, alluminio e nickel. Tuttavia, più materiali sono esportati sotto forma di rifiuti elettronici, come telefoni e computer portatili. Le esportazioni di rottami di ferro e acciaio sono aumentate di 6,7-8,1 milioni di tonnellate, mentre le esportazioni di rame, alluminio e nickel dall’UE dei Venticinque ha raggiunto quasi 1,6 milioni di tonnellate nel 2005.

Ma perché l’Europa rinuncia a tenere in casa propria i preziosi rifiuti? Per molti motivi e sopratutto economici, nonostante la politica ambientalista europea punti alla dismissione progressiva delle discariche, a una maggiore tassazione degli inceneritori e a un forte sostegno della raccolta differenziata. Ma il riciclo costa e tanto. L’opzione molto ipocrita per la verità è scegliere di inviare i rifiuti in quei paesi dove le norme ambientali e sanitarie per il riciclo sono più flessibili e il costo del lavoro è sensibilmente inferiore. Non solo: in Cina e in molti altri paesi asiatici le importazioni di rame e rottami sono esenti da tasse e il costo del trasporto via mare è considerevolmente basso. Riferiesce l’AEE, l’Agenzia europea dell’ambiente che spedire un container dalla Ue a Hong Kong costa 500 euro. Nel 2004 The Guardian annunciava il crack dell’economia europea a causa dello scialo insensato di materie prime:
Ostacolare il riciclo locale delineerà rischi per la società europea, tra cui la bancarotta.

La Cina è furba: riciclare acciaio richiede il 95% di energia in meno che se fosse prodotto ex novo da bauxite vergine. Dunque, ottiene materie prime con poco sforzo energetico riuscendo così a emettere anche meno Co2. Ha detto Patrick de Schrynmakers, secrétaire général della Association européenne de l’aluminium (AEE): "L’energia è un fattore chiave, che è precisamente il punto debole della Cina. Tenendo conto della mancanza di energia e del desiderio di ridurre ridurre le emissioni di gas serra, è stato facile capire perché stava cercando di ottenere tutti i rifiuti disponibili. La Cina sovvenziona l’uso di rifiuti metallici con un rimborso totale dell’IVA sui rottami di alluminio importati.L’anno scorso, la Cina ha importato 3,7 milioni di questi rifiuti, purtroppo, quasi tutti provenienti dall’Europa".

Non si può certamente continuare così e dunque l’Europa per il 2013-14 annuncia una serie incentivi a sostegno di iniziative a sostegno del riciclo.
FONTE: EcoBlog

PARLAMENTO EUROPEO: RECUPERARE I RIFIUTI ELETTRICI ED ELETTRONICI

Sono in corso i negoziati per la revisione della direttiva dell'Unione europea del 2003 sui rifiuti derivati da articoli elettrici ed elettronici. Il Parlamento europeo preme per incrementare la raccolta dei materiali di scarto, da destinare a riutilizzo e riciclo.

Secondo una valutazione d'impatto condotta dalla Commissione europea nel 2008, dalla sua adozione la direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) non ha determinato i risultati sperati. Solo un terzo degli scarti prodotti viene infatti avviato al recupero e il passaggio illegale in altri Stati - con il rischio di dispersione nell'ambiente di sostanze pericolose e di spreco di materiali ancora utili - rimane molto diffuso. Riconosciute le criticità della normativa – classificazione inadeguata dei materiali, costi eccessivi, procedure amministrative complicate – la Commissione ha presentato una proposta di revisione del testo, ora oggetto di negoziato tra l'esecutivo UE, il Parlamento e gli Stati membri.

L'idea è incrementare l'attuale obiettivo annuo – 4 chilogrammi di raccolta per persona – per arrivare a recuperare ogni anno il 65% del peso medio della merce venduta nei due anni precedenti entro il 2020. I Paesi UE sono sostanzialmente favorevoli a quest ipotesi; non così gli euro parlamentari della Commissione Ambiente che chiedono di fissare target che corrispondano all'effettiva produzione di elementi di scarto elettrici ed elettronici (e-waste), dalle lampadine ai cellulari, agli elettrodomestici.

Secondo le stime della stessa Commissione, infatti, ogni cittadino europeo genera attualmente 17-20 chilogrammi di e-waste all'anno. La direttiva RAEE, pertanto, andrebbe rivista sia sotto il profilo della percentuale di materiale da recuperare, che relativamente alle tipologie di scarti da sottoporre ai vincoli normativi e, infine, provando ad affrontare seriamente il problema dello scarico illegale dei rifiuti.


Per questi motivi, lo scorso 4 ottobre, la Commissione Ambiente del Parlamento ha approvato una relazione dell'eurodeputato tedesco Karl-Heinz Florenz, che avanza nuove e più ambiziose proposte. La prima prevede che, a seconda della categoria dei rifiuti, si arrivi entro il 2016 a raccogliere tra il 70 e l'85% degli scarti e a riciclare una quota compresa tra il 50 e il 75% del totale. Inoltre, un obiettivo separato dovrebbe riguardare il riutilizzo delle merci, che dovrebbe essere pari al 5%. In secondo luogo, la relazione propone che i consumatori possano consegnare, gratuitamente, tali materiali presso i rivenditori di articoli elettronici, in modo da incentivare l'abitudine al recupero, spesso sfavorito dalla mancanza di adeguati raccoglitori.

Per potenziare gli effetti della direttiva, il Parlamento chiede inoltre che siano ammessi quale oggetto della disciplina comunitaria tutti i materiali che non ne siano esplicitamente esclusi, anziché, come avviene attualmente, applicare le norme solo a quelli elencati. Infine, si vuole vietare l'esportazione dei rifiuti elettrici verso i Paesi esterni all'OCSE, autorizzando invece i trasferimenti al suo interno solo nei casi in cui si abbia certezza della sorte del prodotto, che dovrebbe essere riparato o riutilizzato e non destinato all'incenerimento.
La partita con gli Stati membri, non si prospetta facile per il Parlamento: questi sarebbero infatti disponibili ad accogliere i target più contenuti e dilazionati nel tempo dell'esecutivo UE, ma sembrano meno favorevoli all'accelerazione richiesta dai parlamentari. Anche il mondo imprenditoriale, attraverso l'Associazione europea delle piccole imprese (UEAPME), ha fatto sapere di essere contrario ad una proposta che trasformerebbe i commercianti in “discariche senza il loro consenso”. Il Parlamento, comunque, prosegue nel suo intento. Le proposte della Commissione Ambiente saranno sottoposte al voto della Plenaria il prossimo gennaio.

sabato 8 ottobre 2011

FOTOVOLTAICO: NASCE LA PRIMA FILIERA ITALIANA PER LA RACCOLTA E IL RICICLO

Tra le finalità del progetto è prevista la realizzazione di un sistema di mappatura di tutti gli impianti presenti sul territorio nazionale
  
Che fine fa un modulo fotovoltaico a fine vita? Chiedetelo al Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo (Cobat) che in collaborazione con il Comitato IFI-Industrie Fotovoltaiche Italiane ha deciso di dar vita ad un’iniziativa congiunta dedicata al recupero e riciclo della tecnologia solare. Unendo le rispettive competenze e conoscenze – Cobat opera da oltre venti anni nel settore del riciclo e IFI raggruppa le aziende manifatturiere che rappresentano oltre l’80% della capacità produttiva nazionale – le associazioni daranno vita ad una filiera tutta italiana per la gestione dei moduli fotovoltaici a fine vita.

L’Accordo di Programma sarà formalmente firmato il prossimo martedì 11 ottobre da Giancarlo Morandi, Presidente di Cobat e Filippo Levati, Presidente del Comitato IFI, alla presenza, tra gli altri, del Sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia e di Stefano Ciafani, Responsabile scientifico nazionale di Legambiente. Tra le finalità dell’accordo è prevista anche la realizzazione di un vero e proprio sistema di mappatura di tutti gli impianti presenti sul territorio nazionale ed un meccanismo di tracciabilità in grado di “seguire” i moduli fotovoltaici esausti dal momento della raccolta sino all’impianto di destinazione finale.

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